NEL LETTO DEL VENTO: 08/01/2013 - 09/01/2013 WebShake – viaggi

venerdì 9 agosto 2013

Cape Agulhas - All'estremità dell'Africa

On the road
Swellendam
La luce filtra dalle finestre appannate. Davide stringe la boule dell'acqua calda sotto le coperte. Azzardo a tirar fuori un piede dalla trapunta e mi si congela all'istante. Ringhiando, accendo la stufa a gas e poi ammiro a bocca aperta l'alba che tinge di rosee dorature le montagne imbiancate, mentre le mucche sfilano sotto la finestra per andare al pascolo. Anche questa è Africa.
Tè bollente e marmellata e poi si ritenta l'ingresso al De Hoop Natural Reserve. Nonostante dal parco ci assicurino che la strada è aperta, nel centro del cammin troviamo la solita inondazione. Di passare non se ne parla. 
Ringraziamo quelli del parco e puntiamo dritti verso Cape Agulhas, il punto più meridionale del continente africano, dove l'Oceano Indiano e quello Atlantico si abbracciano, che deve il suo nome (Capo degli aghi) al fatto che le bussole delle navi, giunte da queste parti, sembravano impazzire e non indicavano più il Nord. Una bella sfiga per quei marinai già alle prese con il temibile intreccio di correnti e una navigazione certo disagevole.

La strada è di nuovo percorribile, nonostante le enormi pozzanghere. Arriviamo all'oceano o, dovrei dire, agli oceani e saliamo al faro, che spicca bianco e rosso contro un'infinita distesa cobalto, che si estende senza soluzione di continuità fino all'Antartide. A sinistra il turchese dell'oceano indiano, a destra il blu cobalto dell'Atlantico.
Cape Agulhas - Il faro
Cape Agulhas
Arniston - Barche dei pescatori
Passeggiamo su una passerella fra fiori colorati che si spingono fino al limitare della spiaggia, da cui emergono scogli aguzzi. Arrivati alla targa che indica il luogo geografico dove si abbracciano gli oceani non resistiamo alla tentazione di immortalarci a vicenda in una serie di pose improbabili.
Lasciato il Capo ci dirigiamo verso la piccola cittadina di Arniston, un tempo grazioso paesino di pescatori, oggi diventato meta di villeggiatura per i facoltosi turisti sudafricani. Dell'attività peschereccia restano le bellissime barche colorate, che attendono di prendere il mare, appoggiate sulla rampa di lancio.
Dopo una breve passeggiata scopriamo il vero motivo per cui vale la pena visitare Arniston: qualche miglio fuori dal paese, troviamo un bellissimo parco, il Warnhuiskrans Nature Reserve, famoso per le sue grotte marine visitabile però solo con la bassa marea.
Visto che l'acqua ha già ripreso possesso delle caverne, ci consoliamo con una meravigliosa passeggiata in riva all'oceano che ci regala scorci mozzafiato.
Warnhuiskrans Natural Reserve
Le nostre scarpe profondano nella sabbia bianca, costellata di ciottoli e frammenti di conchiglie. Sul bagnasciuga i pescatori tendono le loro canne da pesca in attesa che la preda abbocchi. Un odore acre ci incuriosisce e sulla riva troviamo l'enorme carcassa di una balena ormai in avanzato stato di decomposizione.

Il sole comincia ad abbassarci sull'orizzonte. E' ora di tornare.

Dopo una mezz'oretta di macchina siamo a Bredasdorp, un grazioso paese che non presenta un particolare interesse turistico. Il nostro bed&breakfast (Bredarsdorp Country Manor) però è delizioso e Anne Marie, la signora che lo gestisce, ci riempie di attenzioni e per cena ci indirizza da Julian's. Il locale, che si trova dietro l'atelier di splendide ceramiche del proprietario, è elegante e ricercato e la cucina all'altezza delle nostre aspettative.
Bredasdorp - La chiesa

giovedì 8 agosto 2013

Da Gansbaai a Swellendam: pioggia, mucche e altre calamità


Ci sono momenti in cui vorresti buttare il TomTom fuori dal finestrino. Questo per esempio. 
Sono due ore che ci fa girare in tondo nel tentativo di raggiungere Cape Agulhas. Visto che non tutto il male viene per nuocere, nel nostro ‘imbelinarci’ in strade sterrate nel mezzo del nulla assoluto, cogliamo panorami mozzafiato dove il cielo azzurro contrasta con campi verde brillante punteggiati di centinaia di mucche che si godono il tiepido sole o il volo di un fenicottero rosa (l’unico che avvisteremo in tutto il nostro viaggio). Quando finalmente mancano una ventina di chilometri alla meta, ci troviamo di fronte la strada allagata a causa delle piogge degli scorsi giorni. Di qui non si passa. Facciamo dietro-front e puntiamo direttamente verso il De Hoop National Park. Peccato che in mezzo all'unica strada per raggiungere il parco, sia attraversata dalla Dora Baltea... 

Swellendam
La direzione del parco (al quale avevamo già pagato la notte) ci dirotta su Swellendam, dove ci hanno prenotato una stanza alla guesthouse Arumvale. Dalla strada a poche decine di chilometri dal mare, ci spingiamo verso l’entroterra e, dopo una ventina di chilometri ci troviamo in… Svizzera: montagne innevate, boschi di conifere, centinaia di mucche pezzate e un freddo maiale. Anche la stanza che ci hanno assegnato è in tema: una vecchia stalla ristrutturata, piena di romanticissimi spifferi. 
Dunque ricapitoliamo: dovremmo essere in un parco naturale in riva alla spiaggia con alte dune di sabbia bianca e le megattere che fanno “ciao-ciao” con la pinna, invece siamo in una stalla, dove fuori dalla porta della stanza, una mucca ha appena fatto 5 litri di pipì… Qui bisogna tirar fuori la nostra arma segreta: spirito di adattamento, livello esperto. Stappiamo una bottiglia di vino rosso e, poi, andiamo a cena al Koornlands Restaurant. La splendida accoglienza della proprietaria e il cibo delizioso, aggiustano tutto. Tornati in stalla (ops… stanza), accediamo il camino e lo scoppiettio del fuoco culla i nostri sogni. Domani è un altro giorno.

mercoledì 7 agosto 2013

Simon's Town - Gansbaai: pinguini, balene e squali bianchi

Boulders Beach
Piove. Anzi diluvia. Così la visita a Boulders Beach, si trasforma in una doccia gelata fuori programma. I pinguini, incuranti delle secchiate d'acqua e delle numerose abitazioni intorno alla loro colonia, caracollano lungo la spiaggia o stanno sdraiati a pancia in giù, vicini vicini. Il tentativo di immortalarli evitando di lavare l'obiettivo, comporta contorsionismi disumani. 
Fish Hoek
Risalgo in macchina ormai fradicia e intirizzita, prima di riprendere la strada per Hermanus. Lungo il tragitto, tappa a Fish Hoek, con il suo porto affollato da pescherecci colorati. 
Da un fish&chips vicino alla banchina arriva un profumino delizioso di calamari fritti. Tento una sortita sul molo, sfidando le folate di un ventaccio capriccioso e in mezzo alle barche ecco far capolino un leone di mare, che attende paziente accanto ad un peschereccio, sperando in un gustoso bocconcino.
La strada continua a seguire il profilo di False Bay, fra dune di sabbia e spiagge deserte, prima di inoltrasi nell'entroterra, fra minuscoli paesini ed enormi township. Verso Hermanus il paesaggio si fa aspro e selvaggio e la strada, che corre lungo la costa, la Whale Route, accarezza pareti di roccia rossa e pendii scoscesi punteggiati di rocce grigie e decine di calle selvatiche. 

Stony Point


A Stony Point, a due passi da Betty's Bay, visita ad una colonia di pinguini molto più numerosa di quella di Simon's Town (pagando soltanto una decina di Rand) e senza decine di turisti giapponesi in mezzo ai piedi. Sono veramente buffi questi uccelli, tanto goffi sulla terraferma quanto a loro agio fra le onde. Non lontano, decine di cormorani si tuffano fra i flutti in cerca di prede.
Finalmente, ecco Hermanus, paradiso mondiale dei whalewatchers. I locali lungo la passeggiata a mare mettono a disposizione dei turisti binocoli, mentre ti servono da bere. Inutile dire che i più gettonati sono quelli al primo piano, da cui si vede quasi tutte la baia e, quindi, aumentano le probabilità di un avvistamento. Seduti comodamente al tavolo, sorseggiando un birra fresca, si può assistere alle evoluzioni delle balene franche, a poche decine di metri dalla riva. Purtroppo ci sono molto onde, che impediscono una perfetta visibilità, ma lo spettacolo è ugualmente emozionante.
Hermanus
Il sole tramonta all'arrivo a Gansbaai, città di balene e di squali bianchi. Seduta sulla splendida terrazza del Roundhouse Guesthouse, sorseggio un rosso locale, per sconfiggere l'umidità. La giornata si chiude con un'ottima cena al Benguela, con un commovente piatto di fegatini di pollo in salsa peri-peri. Ora che sono qui, nella mecca del cage diving, rimpiango un po' di non aver prenotato un faccia-a-faccia con il più maestoso e terribile dei predatori marini. Sarà per la prossima volta!


martedì 6 agosto 2013

Cape Town - Simon's Town: esplorando Cape of Storms

Twelve Apostoles
A Cape Town piove. 
La Table Mountain è stata inghiottita dalla foschia. 
Dopo una colazione meravigliosa, coronata da due commuoventi uova alla Benedicte, salgo in auto. Direzione Capo di Buona Speranza. 
La strada scende da Lion's Head verso la costa, sotto i Twelve Apostoles, che a tratti fanno capolino dalle nuvole. 
Hout Bay
Imbocco la Chapman's Peak, una spettacolare strada panoramica, sulla scogliera a picco sull'oceano. Le onde ruggiscono alzando montagne di schiuma contro la roccia. 
Noordhoek
Dopo aver superato Hout Bay, battezzo uno per uno tutti i punti panoramici lungo la strada, che termina a Noordhoek, minuscola cittadina affacciata su una lunghissima spiaggia sabbiosa, su cui si affacciano curiose casette dai tetti di paglia.
Passo accanto ad un allevamento di struzzi ed entro nel Parco Nazionale di Cape Good Hope che fa parte del Table Mountain National Park.
Cape Of Good Hope NP - Fynbos
Il paesaggio è lunare: a destra della strada colline coperte di fynbos, mentre a sinistra, la costa precipita nell'oceano in scogliere a strapiombo alte un centinaio di metri. Nel mezzo del nulla, spuntano due mastodontiche croci di pietra bianca, intitolate a Vasco De Gama e Bartolomeo Diaz, i primi europei a raggiungere il Capo. Fu proprio Diaz a battezzarlo Cabo das Tormentas (Capo delle tempeste). 

Cape Point: il faro
Ci volle invece un politico, il re Giovanni II del Portogallo, per negare la sua natura tempestosa e ribattezzarlo Cabo da Boa Esperança: speranza di guadagnare una marea di soldi dalla nuova rotta commerciale con le Indie.
La penisola termina con un doppio capo: Cape Point, dove si trova il faro e, appunto, Cape of Good Hope. Insieme a decine di turisti, affronto la salita verso la cima di Cape Point, che col suo faro segnala alle navi l'esistenza degli scogli assassini in agguato sotto l'acqua. 
Dall'alto la vista è mozzafiato: si vede il nuovo faro, decine di metri più in basso, aggrappato alle rocce, sferzato da venti impetuosi e ondate mastodontiche. 
Dopo un breve tragitto, finalmente ecco il Capo di Buona Speranza: in silenzio, ascolto l'urlo del vento e il ruggito delle onde, mentre i giapponesi si immortalano a vicenda in pose improbabili. 
Sono nell'avamposto prima dell'immensità liquida dell'oceano, che qui si manifesta in tutta la sua maestosità indomita. 
Non posso che cercare di immaginare le sofferenze e le tribolazioni degli equipaggi dei velieri che cercarono, nei secoli passati, di doppiare il Capo, spesso pagando con la vita la loro temerarietà. 
Cape of Good Hope - Capo di Buona Speranza
Questo luogo ha da sempre preteso un tributo di sangue ai marinai, infatti la costa è disseminata dai decine di relitti, più o meno famosi. Vado a caccia proprio di uno di questi, che dovrebbe essere ancora visibile su una spiaggia, alla fine di una strada solitaria, dove le mille sfumature del fynbos - dal verde al ruggine, dal marrone al dorato - contrastano col cobalto dell'oceano. 
Non riesco a trovare la nave, ma il fallimento è compensato dall'incontro con alcuni bontebok, una famiglia di babbuini e uno struzzo solitario che si gode la passeggiata al tramonto.

La gita mi ha fatto venir sete: birra in piccolo pub a Simon's Town, piccola cittadina famosa per i pinguini e per la sede principale della Royal Navy. Qui bianchi e neri sono seduti separati, non da barriere o cartelli ma dalla diffidenza reciproca. 
Dopo le emozioni di questa lunga giornata, mi sistemo al Simonsview, una guesthouse molto carina in cima alla collina, e mi addormento ascoltando il rumore della pioggia.


lunedì 5 agosto 2013

Cape Town: scoiattoli e scampi all'ombra della Table Mountain

Arrivati a Cape Town, ci fiondiamo giù dall'aereo e recuperiamo il bagaglio.
La giornata è splendida e, nonostante qui sia inverno, c'è un piacevole tepore. Un po' sotto stress per la varie raccomandazioni sulla sicurezza, andiamo a ritirare l'auto al noleggio, guardandoci attorno con aria circospetta, come se qualcuno dovesse saltarci addosso da un momento all'altro, mentre nessuno ci degna della benché minima occhiata.
Usciti dall'aeroporto, lungo l'autostrada, il primo contatto con una realtà molto diversa da quella a cui siamo abituati: per chilometri e chilometri si estende a perdita d'occhi una delle township di Cape Town, una sterminata distesa di baracche di legno col tetto di lamiera, tenute insieme precariamente, circondate da una recinzione metallica. I poveri dentro, i bianchi fuori.
La strada continua verso il centro e ho tutto il tempo per ammirare il fantastico panorama che mi circonda: la Table Mountain incombe sulla città, protettiva e minacciosa al tempo stesso, alla mia destra l'oceano e l'immenso porto commerciale della città, che era nata proprio come base portuale .
Notiamo con un po' di sorpresa, mista ad apprensione, che le case del centro sono praticamente tutte circondate da muri altissimi, spesso con tanto di filo spinato elettrificato in cima. Anche i cartelli "Armed response", affissi alle abitazioni, non contribuiscono a tranquillizzarci.


Ci sistemiamo alla Dunkley House, una raffinata guest-house nel tranquillo quartiere dei Gardens, che prende il nome dai Company Gardens, proprio a due passi dalla nostra sistemazione: curatissimi giardini, frequentati dai turisti, dagli abitanti e da decine di morbidissimi scoiattoli, che mi saltellano intorno o sbocconcellano le coloratissime sterlizie.
Sono un po' provata dal viaggio e, seguendo il consiglio di un amico, faccio tappa al Lord Nelson Hotel, per l'imperdibile tè delle 5.
Da brava italiana, arrivo alle 5 e 20, quando stanno portando via il pantagruelico e sfiziosissimo buffet: tartine al salmone, dolcetti di tutti i tipi, canapè assortiti. Sigh.
Mi accontento (si fa per dire) di un ottimo tè, servito da un cameriere impeccabile con tanto di guanti bianchi, sorseggiato nello splendido salone, dove il tempo sembra essersi fermato in piena epoca coloniale, praticamente sprofondata in una poltrona foderata di cinz a fiori, circondata da quadri ad olio e specchi dalle cornici dorate.
Qui è inverno e alle 6 è già buio. Per cena, cosa c'è di meglio che un piatto di crostacei assortiti e uno splendido vino bianco sudafricano?
Al Beluga gustiamo questa meraviglia in un ambiente trendy ma spigliato, dove la clientela è quasi esclusivamente bianca e dove nessun fa caso a jeans e scarpe da ginnastica. Rilassante.
Per smaltire la cena, niente di meglio che una passeggiata respirando il profumo di salsedine lungo il Waterfront, dove ha sede anche il marina di Cape Town. Il posto è molto turistico: un'accozzaglia di ristoranti acchiappa-polli e di bar, ma finalmente riusciamo a vedere qualche "stecco", che dondola lentamente nell'acqua scura.
Il bicchiere della staffa è un'ottima APA artigianale alla Mitchell's Brewery, prima di andare a nanna. Domani, saltata la salita alla Table Mountain causa manutenzione della funivia, mi aspetta il Capo di Buona Speranza.

domenica 4 agosto 2013

Bologna - Cape Town - Si parte!

Valige chiuse, porte sprangate, mi assale il solito dubbio "Avrò dimenticato qualcosa?". La fretta di partire prevale e carico i bagagli in macchina. Superata la solita, stancante routine dei controlli aeroportuali, inizia il viaggio. Già sul volo si respira profumo (e non solo) di esotico, perchè l'aereo è stipato di indiani, pakistani e turchi, che tornano a casa dalle famiglie. Soltanto stipare i bagagli a mano nelle cappelliere diventa un'impresa. Sbuffo. La mia routine quotidiana è fatta di persone pulite, silenziose e profumate, che non si porterebbero in aereo borse di plastica delle dimensioni di un canotto gonfio, ma qui tutto è diverso e viaggiare è entrare in contatto con una realtà meno asettica e controllata di quella a cui siamo abituati. 
Sforzo di pazienza e sorrido al pakistano di fianco a me, che ascolta musica araba dal suo telefonino, a tutto volume. 
Due ore e mezza e puntuali arriviamo ad Istanbul. Dai finestroni dell'aeroporto si vede il Bosforo e le decine di navi che solcano le sue acque e la metropoli in lontananza, con le sue decine di minareti. Inganniamo la lunga attesa del prossimo volo, girando come cavie stordite in questo labirinto di coffe shop e duty free, poi ci intrufoliamo in un gate deserto e guardiamo le decine di mezzi strampalati che, con i loro carrellini e rimorchi, sfrecciano a tutta velocità per le piste. La noia è interrotta solo un gruppo di voci bianche di nazionalità sconosciuta e per un attimo la musica ci porta lontano.
Arriva l'imbarco di mezzanotte e il monitor si accende di una scritta promettente "Cape Town". Scopriamo però che prima di arrivare l'aereo ferma a Johannesburg.
Un decollo ed un atterraggio in più su queste diaboliche macchine volanti.
Prendiamo il volo sulla città sfavillante di mille luci, mentre oltre lo stretto, l'Asia si perde nel buio.
L'alba ci sorprende ancora in volo e la prima immagine dell'Africa è una distesa di nubi candide da cui s'intravede una strada rossastra che si perde lontano nel nulla.

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